A spasso con Erik

Lo svedese Erik Johansson è un giovane fotomanipolatore che da qualche anno stupisce il mondo con la sua capacità di elaborare le sue fotografie, ed è fra i photoshop artist più amati dalla rete.

 

 

 

Nasce  nel 1985 in una piccola città, Götene, al centro della Svezia. Cresciuto in una fattoria con i genitori e due sorelle più giovani, ha sempre  voluto disegnare forse ispirato dalla nonna che ha sempre dipinto; a questo si unisce la sua passione per il computer. All’età di 15 anni possiede la sua prima fotocamera digitale che gli apre nuove prospettive visive.  I primi soggetti fotografati sono stati la famiglia e gli amici.  Nel 2005 si trasferisce a Goteborg per studiare Ingegneria informatica presso la Chalmers University of Technology.  Dopo aver pubblicato alcune delle sue immagini online, inizia ad avere richieste di lavoro commissionate da alcune agenzie di pubblicità locale. Lavora come freelance continuando gli studi e  successivamente ottiene un master in Interaction Design. Cresciuto nella campagna svedese, questa ha  molto ifluenzato il suo panorama visivo. Molte sue foto vengono ambientate nei luoghi a lui familiari,  nei pressi della casa dei  genitori dove si trovano molti ampi paesaggi aperti e case rosse.

Oggi risiede a Norrköping  e lavora a tempo pieno come fotografo professionista e ritoccatore per clienti sia svedesi che stranieri. Le sue foto sono apparse su riviste, blog e libri in tutto il mondo e ha lavorato con aziende come Google, Microsoft, Ikea e Stratco.

Eccolo quà :

http://alltelleringet.com/moreinfo/

Ciao.

Buona Hanukkah ! 21/29 dicembre

 
 
 

hanukkah_candlesTra qualche giorno cadrà l’ Hanukkah, una delle feste ebraiche più conosciute e amate.

La festa della luce e di come la si raggiunge dopo un periodo di buio. 

Secondo il calendario ebraico, che si basa sui cicli della luna, Hanukkah comincia in dicembre quattro giorni prima della luna nuova, la notte più lunga dell’anno, e dura otto giorni.

Segnando il passaggio attraverso il solstizio d’inverno, quando cioè le giornate tornano ad allungarsi, è quindi, in un certo senso, la celebrazione del passaggio dell’uomo dal buio alla luce.

Esiste però anche una ragione storica per cui si festeggia Hanukkah, ed è la riconquista del tempio  di Gerusalemme da parte degli ebrei sui Greci, risalente al 165 a. C.

Durante l’occupazione di Israele da parte dei greci, questi entrarono nel Tempio e contaminarono tutti gli olii che servivano per accendere la Menorah. Questa contaminazione fu voluta e sistematica, poiché i greci non erano contrari all’accensione della menorah, il candelabro (a sette bracci) ma la sua luce doveva provenire da un olio che avesse il tocco greco, il tocco di un pagano.

I greci non avversavano i valori morali ed etici che la Torah racchiude, ma si opponevano all’osservanza dei precetti divini che distinguono il modo di vivere degli ebrei.

La Menorah, accesa con olio puro e consacrato, era il simbolo palese del perpetuarsi del modo di vita ebraico ed i greci erano decisi a cambiare tutto questo.

Una volta liberato il Tempio, gli Asmonei, insistettero nella ricerca di olio puro, che recasse intatto il sigillo del Sommo Sacerdote e furono premiati quando trovarono un’ampolla ancora incontaminata. Purtroppo l’olio che conteneva bastava a tenere accesi i lumi un giorno soltanto.

Ed ecco che avvenne il miracolo: l’olio durò gli altri sette giorni necessari per andare alla terra di Ashèr, preparare l’olio nuovo e portarlo fino a Gerusalemme.

Tutto cio’ è  narrato nel Talmud.

Quest’anno Hanukkah ha inizio il 21 dicembre e si protrarra’ fino al 29.

Secondo la tradizione, ogni sera si accende una candela della ‘chanukkiah’, il candelabro a nove bracci, dove le candele sono otto come i giorni di Hanukkah, più una che serve ad accendere le altre.

Si accende la candelina “servetto” e con questa le altre pronunciando le preghiere rituali singolarmente o in gruppo, se si è in gruppo si usa che ogni gruppo porti la sua hannukiah che verranno poste vicino ad una finestra perchè si possano vedere anche da fuori.

La festività viene a volte definita il Natale ebraico, ma non vi è niente di più sbagliato, e se venite invitati ad un party di Hanukkah, ed è previsto che ci si scambino dei doni, i colori della carta in cui avvolgerli sono tradizionalmente bianco e blu, e non rosso e verde!
Anche le candele sono di solito dello stesso colore, probabilmente in omaggio alla bandiera di Israele.

Ma Hanukkah è anche una festa in cui parenti ed amici si incontrano e si scambiano i piatti tradizionali.

chocolate_hanukkah_moneyPreparate nel rispetto della cucina kosher, le specialità di Hanukkah sono principalmente fritte, sempre nel ricordo dell’importanza che l’olio ha avuto nella storia della festa. Nel periodo di Hanukkah non devono mai mancare i Sufganiot, (ciambelle), e i Latkes (frittelle di patate), mentre ai bimbi si è soliti regalare le Hanukkah gelt, monete di cioccolato, che oltre ad essere deliziose sono considerate di buon auspicio.

Tra i bambini si usa giocare con il dreidel, la tradizionale trottola a quattro facce con inciso un acronimo in lettere ebraiche che significa ”E’ avvenuto un grande prodigio”. Nel gioco del dreidel ogni giocatore fa una puntata e fa girare la trottola, quando il dreidel si ferma si guarda qual è la lettera uscita.

La ricetta dei Latkes qui’,

quella dei Sufganiot qui’

Gli ebrei nel mondo sono circa 13 milioni e sono distribuiti in più di cento paesi; di questi, Israele è l’unico paese in cui l’Ebraismo costituisce la religione della maggioranza degli abitanti.

Le comunità ebraiche più numerose si trovano negli Stati Uniti e in Europa,, dove il paese con il maggior numero di ebrei è la Francia con 600.000 appartenenti, e la presenza ebraica è forte anche in Russia, in Asia  nell’America latina e in Australia.

http://www.ezrome.it/multietnico-romano/felice-hanukkah-o-chanukah-0161.html

http://www.chabad.org/holidays/chanukah/article_cdo/aid/114297/jewish/La-Guida-Di-Chanukk.htm

http://www.chabad.org/holidays/chanukah/article_cdo/aid/114309/jewish/Il-Miracolo-DellOlio.htm

In Italia gli ebrei sono circa 24.930 sotto la guida del Rabbino Elia Richetti della comunità di Venezia.

 

Hanukkah oggi

Prima del XX secolo questa, veniva considerata una festa minore. Con la crescente popolarità del Natale come maggiore festività del mondo occidentale e l’istituzione delle accensioni pubbliche della chanukkià, cominciò a rappresentare sia una celebrazione della volontà di sopravvivenza del popolo ebraico, sia una festività che rimarca il dominio della luce sull’oscurità, e cio’ acquista un significato particolare in corrispondenza dell’ inizio dell’inverno e durante il periodo dell’anno in cui le giornate sono più corte.

Al giorno d’oggi, durante le sere di Chanukkà, c’è l’uso promosso dal movimento Chabad, presso numerose comunità in tutto il mondo, di celebrare l’accensione delle candele in maniera pubblica. Numerose persone si ritrovano in una piazza centrale della città dove è stata installata una grande chanukkià. Il presidente della comunità o il rabbino capo, tengono un breve discorso, recitano la beracha (benedizione) sulle candele e inaugurano la festa. I presenti solitamente intonano inni gioiosi ed eseguono tipici balli ebraici.

Mi impegno nel vivere la tolleranza perchè credo che tutti gli uomini siano fatti della stessa pasta,

con la stessa capacità di amare, soffrire, odiare e intelligere.

E che le differenze siano soprattutto culturali e quindi superabili

ma solo cercando ancora e ancora  quella luce che illumini le nostre coscienze e che è uguale e sacra sopra di noi 

e in tutti noi.

Che il vostro cuore sia riscaldato con il bagliore delle candele di Hanukkah

e il vostro nuovo anno sia felice e sano.

 

Maricarmen Pizano

Buona Hanukkah e Buon natale !

Ciao.

Te piace o’ presepe ? Via S. Gregorio Armeno

Il termine presepe deriva dal latino praesaepe, cioè greppia, mangiatoia, composto da prae = innanzi e saepes = recinto, ovvero luogo che ha davanti un recinto

La tradizione, prevalentemente italiana, risale all’epoca di San Francesco d’Assisi che nel 1223 realizzò a Greccio la prima rappresentazione vivente della

Natività.

Chi come me adora visitare e costruire il presepe, non puo’ non essere appassionato di via S. Gregorio Armeno.

Un mio grande desiderio è quello di visitare Napoli “primm’e muri’.

I quartieri spagnoli, il Tunnel borbonico, il cimitero di Fontanelle, S.Biagio dei Librai e in questo periodo sarebbe bellissimo poter camminare tra le bancarelle di questa via.

Poter vedere le luci, i colori, gli occhi dei bambini che brillano come i nostri davanti ai volti antichi dei pastori, sentire le voci della gente.

Sarebbe, per me, una buona iniezione antidepressiva.

Via San Gregorio Armeno è una strada del centro storico di Napoli, celebre turisticamente per le botteghe artigiane di presepi.

A circa metà strada, sorge la storica chiesa di San Gregorio Armeno fondata attorno al 930 sulle fondamenta dell’antico tempio di Cerere. Solo nel  1205 la chiesa viene intitolata al santo omonimo.

La tradizione presepiale si san Gregorio Armeno ha un’origine remota: nella strada in epoca classica esisteva un tempio dedicato a Cerere, alla quale i cittadini offrivano come ex voto delle piccole statuine di terracotta, fabbricate nelle botteghe vicine. La nascita del presepe napoletano è naturalmente molto più tarda e risale alla fine del Settecento.

Oggi via San Gregorio Armeno è nota in tutto il mondo come il centro espositivo delle botteghe artigianali qui ubicate che ormai tutto l’anno realizzano statuine per i presepi, sia canoniche che originali (solitamente ogni anno gli artigiani più eccentrici realizzano statuine con fattezze di personaggi di stringente attualità che magari si sono distinti in positivo o in negativo durante l’anno).

Le esposizioni vere e proprie cominciano nel periodo attorno alle festività natalizie, solitamente dagli inizi di novembre al 6 gennaio.

http://it.wikipedia.org/wiki/Via_San_Gregorio_Armeno

 

 

Interessante sapere che Carlo III di Borbone aveva fatto del presepe un’arte, dedicandosi lui stesso alla creazione dei personaggi e coinvolgendo anche la corte, al punto che i lavori migliori partecipavano a vere e proprie competizioni. Ad accrescere, poi, questo piacevole diletto del sovrano, era il consigliere e confessore padre Rocco, che concepiva il presepe come uno strumento di propaganda religiosa. Per far sì che queste opere fossero adeguate alla magnificenza della corte, erano invitati a prendere parte alla realizzazione anche veri e propri artisti, da pittori ad architetti, da scultori a ceramisti, fino ai sarti: ricordiamo Giuseppe Sammartino, Matteo e Felice Bottiglieri, Nicola Somma e molti altri illustri artisti dell’epoca. Particolare cura era dedicata, poi, alla creazione dei personaggi, la cui testa era realizzata in terracotta, gli arti in legno e, soprattutto, l’anima in fil di ferro per consentire tanto la flessibilità, quanto la varietà delle pose, in modo da assicurare scene sempre diverse di anno in anno. 

http://www.culturaitalia.it/pico/modules/event/it/event_0789.html?tema=key.language.tradition&regione=campania&T=1291004316313

http://blog.libero.it/shaijlyah/8143461.html

Guardatevi i bellissimi personaggi tipici del presepe: http://salguida.jimdo.com/personaggi-del-presepe/personaggi-tipici/

 

 

 

 

 

Dedicato alla mia amica Mary, napoletana.

Ciao.

Capodimonte, ceramiche e porcellane

Come vorrei aver vissuto per un periodo nella Napoli dei Borboni,  magari come figlia di un artigiano!

Per Napoli, splendida capitale del regno, fu periodo di innovazioni e istituzioni; per citarne alcune: l’organizzazione della sanità, della scuola, la riorganizzazione dell’area portuale, la costruzione del Tunnel, la manifattura della seta di S. Leucio, ecc.

Divenne la terza città industriale d’Italia.

Tra le altre, anche la produzione della ceramica e porcellana di Capodimonte.

Chi di noi, anche se non particolarmente amante della ceramica, non vorrebbe in casa una piccola meraviglia come queste ?

La storia

Capodimonte è una zona di Napoli, suddivisa nei casali di Porta Grande e Porta Piccola, siti a ridosso del Bosco di Capodimonte.

Le porcellane di Capodimonte vedono la luce per merito di un’illuminata iniziativa di Carlo III di Borbone (si adoperò per dotare la città di opere monumentali come il Teatro S. Carlo, la villa di Capodimonte, l’Albergo dei Poveri, amplio’ la reggia, istititui’ l’ Accademia Ercolanese, la Biblioteca Nazionale, il Museo Archeologico e diede inizio agli scavi a Pompei ed Ercolano) il quale, sposando nel 1738 Maria Amalia Valpurga, nipote di Augusto il Forte, creatore della celebra fabbrica di porcellana di Meissen, matura l’idea di aprire nella capitale del suo regno un laboratorio per la produzione di manufatti di porcellana.

Ciò significava collocarsi a fianco di alcune tra le più prestigiose Corti europee che fino ad allora erano in possesso di una propria manifattura di porcellane, come quella di Sassonia, la celebre Corte di Francia e l’altra, non meno illustre di Vienna, mentre in Italia erano attive le fabbriche di Vezzi a Venezia (dal 1720) e da poco, dei Ginori a Doccia (1737) e dei Rossetti a Torino (1737).

L’edificio della fabbrica di porcellana è progettato e compiuto nel 1743 con l’intento di creare a Napoli l’equivalente della manifattura di Meissen, di cui alcuni pezzi arricchivano il corredo della consorte. Della realizzazione dell’edificio è incaricato l’architetto napoletano Ferdinando Sanfelice, che individua l’area di Bosco di Capodimonte, a poca distanza dalla nuova residenza reale. I primi addetti furono, con Livio Vittorio Schepers e Giovanni Caselli, Gaetano Schepers, figlio di Livio e parimenti incaricati dell’impasto, lo scultore fiorentino Giuseppe Gricci, con l’incarico di modellatore, il pittore Giuseppe Della Torre e l’intagliatore Ambrogio Di Giorgio più altri pochi operai e vari garzoni.

Le terre più adatte all’impasto in porcellana provenienti dalla Calabria, da Fuscaldo e Porghelia, diedero ottimi risultati così che questa porcellana in pasta tenera risultò superiore a quelle utilizzate nelle più celebri manifatture francesi. La qualità della pasta ottenuta era notevole: tenera per assenza del caolino difficile da modellare, specie per la resa di particolari minuti, era di uno splendido colore bianco, traslucida, con una grana finissima. Ne accresceva la bellezza una vernice di copertura di straordinaria compattezza, che determinava effetti di luce attenuata ed uniforme e toni cromatici delicatamente vellutati.

Dal punto di vista tecnico non vi è dubbio che il successo delle porcellane di Capodimonte vada attribuito alla felice armonizzazione della qualità dell’impasto della pasta tenera ad alto contenuto feldspatico, utile ad esaltare le belle miniature eseguite in punta di pennello da Giovanni Caselli che, per la capacità propria della pasta tenera che permette alla vernice di copertura di “assorbire” la decorazione, si presentano ai nostri occhi con un morbido ed inconfondibile effetto di “sottovetro”.

Pur ispirandosi agli inizi alle produzioni di Meissen, ben presto gli effetti realizzati a Capodimonte assunsero una forma più elegante e raffinata; con l’originalità dei decori del Caselli e del Della Torre dava una squisita eleganza all’impaginato e alla finezza degli effetti pittorici. Fu così che nell’ambito della produzione plastica (animali, uccelli, figurine a gruppi ed isolate) che Capodimonte giunse alle realizzazioni più originali e che maggiormente contribuirono a renderla famosa in tutta l’Europa. Durante questo periodo gli effetti che più di altri identificarono il gusto e l’arte dei maestri coordinati dal Gricci furono tabacchiere di squisita fattura e pittura, brocche e bacili, pomi di bastone di varie foggiature, vasi policromi, pregevoli vasi biansati, vasi da camino, tazze per uso domestico, caffettiere, lattiere, servizi di piatti di pregevole decorazione e ispirazione giapponese o con decori di fantasia raffiguranti paesaggi, gruppi floreali o di ispirazione mitologica nonchè vedute di ville napoletane. Tutte queste produzioni furono contrassegnate con il giglio azzurro.

Purtroppo la manifattura non ebbe vita molto lunga: nel 1759 Carlo III, in procinto di passare in Spagna per ereditare il trono del fratello Ferdinando VI, decide la chiusura della fabbrica portandosi al seguito attrezzature, macchinari, forme, pasta nonch? i vari artigiani attivi a Capodimonte.

Nel 1771 Ferdinando IV di Borbone, figlio di Carlo e suo successore sul trono di Napoli, decide di riaprire la manifattura prima nella Reggia di Portici poi nel Palazzo della Capitale nel 1773.

Le porcellane della Real Fabbrica Ferdinandea, contrassegnate con una lettera “N” azzurra coronata appaiono stilisticamente divisibili in tre periodi: il primo dal 1773 al 1780 con la direzione artistica affidata al pittore e scultore Francesco Celebrano,

il secondo dal 1780 al 1799 periodo felicissimo che vede la fioritura di tutte le arti napoletane oltre al trionfo della porcellana,

il terzo dal 1800 al 1806 anno dell’arrivo dei francesi quando la Real Fabbrica chiude definitivamente la sua attività.

In questo periodo, contraddistinto da un inizio che da un lato guardava nostalgicamente alla produzione della precedente manifattura, non definendo quindi un proprio stile, si vede comunque la realizzazione di oggetti la cui tendenza era di imitare la moda più attuale del vasellame prodotto a Seres ed alcune figure plastiche attribuite al periodo Perez.

Con l’avvento, nel 1780 di Dominio Venuti, la produzione ebbe un notevole impulso per la sua supervisione artistica che partorì opere di particolare effetto: importanti servizi ispirati a pitture, bronzi con rifiniture in porcellana di carattere floreale, vasi e sculture, specchiere con decorazioni policrome di personaggi o amorini o uccelli o fiori e la realizzazione di parti più utili per arredamenti dell’epoca come pannelli murali, soffitti o pavimentazioni, colonne o lampadari.

Negli anni successivi i vari artigiani tengono comunque viva la tradizione e la strada tracciata dai Borbone, fin quando lavoranti più tecnici iniziarono la lavorazione della terraglia, ora con i Del Vecchio o i Giustiniani che già da qualche tempo si dedicavano a questa lavorazione, o aprendo laboratori a carattere più familiare in concorrenza con loro. Una particolare menzione meritano i Migliolo, i Mollica ed i Colonnese. I Migliolo producendo splendide terraglie decorate nello stile Ferdinandeo, i Mollica dal 1842 principalmente eccellendo nella lavorazione di terrecotte a figure rosse o a figure nere alla maniera dei vasi di scavo per poi iniziare dai primi del ‘900 un importante ruolo divulgativo delle porcellane  di “Capodimonte”, individuando per primi le lavorazioni “a fettuccia” e dei fiori a tutto tondo decorati a mano, mentre i Colonnese vanno ricordati più per il vasellame e per le belle “riggiole” alla napoletana.

Oggi:

Per quanto concerne la produzione dagli Anni ’50 ai nostri giorni, si vede una lenta ma graduale trasformazione delle produzioni, che per motivi commerciali devono adattare il gusto, l’espressione artistica e la creatività alle nuove tendenze ornamentali. Sono gli anni nei quali vediamo un’esplosione della richiesta dei prodotti di ispirazione figurativa e floreale, soprattutto per merito dei Cacciapuoti, dei Mollica, dei Maiello, dei Savastano, degli Esposito. Purtroppo, molta confusione si è creata per l’arbitrario uso del Marchio di Capodimonte, contraddistinto ed individuato nella “N” azzurra coronata, anche da parte di produttori non dell’area di Capodimonte, tanto da non far più pensare che il Capodimonte potesse essere considerato tale solo se realizzato da artigiani che operano a Napoli. Tale problema sarà sicuramente risolto grazie alla recente approvazione del disciplinare di produzione della ceramica artistica e tradizionale di Capodimonte.

Dagli Anni ’50 ad oggi gli artigiani si sono moltiplicati fino a contare sul territorio oltre 100 laboratori, dalla piccola bottega a carattere familiare a più importanti realtà che della tradizione hanno cercato di cogliere il senso ed il gusto per produrre oggetti di splendida fattura. All’antica tradizione degli oggetti di uso comune, hanno affiancato realizzazioni artistiche di grande successo come vasellame, importanti servizi per la tavola, composizioni floreali, trionfi di frutta, pannelli murali, non trascurando di riprendere gradualmente la modellazione della figura nella sua espressione più tradizionale. Oggi i maggiori mercati di riferimento sono gli Stati Uniti e d il Giappone, che possono ammirare gli oggetti prodotti a Capodimonte nelle più importanti rassegne espositive a Milano, Francoforte, New York, Tokyo, Mosca e Parigi.

Importanti raccolte di ceramiche e porcellane prodotte nella zona di Capodimonte sono oggi conservate nel:

  • Museo Nazionale di Capodimonte, Via Miano 2, Parco di Capodimonte;
  • Museo Duca di Martina
  • Museo Filangieri
  • Museo Archeologico Nazionale
  • Istituto d’Arte “Palazzi”.

Le istituzioni ceramiche, oltre ai citati Musei e agli Istituti d’arte con sezione ceramica, sono l’Accademia delle Belle Arti, l’Istituto “Caselli”, l’Associazione Amici della Real Fabbrica, il Consorzio delle Ceramiche e Porcellane di Capodimonte.

http://www.agendaonline.it/napoli/capodimonte.htm

http://it.wikipedia.org/wiki/Porcellana_di_Capodimonte

http://museodicapodimonte.campaniabeniculturali.it/

http://www.neoborbonici.it/portal/index.php?option=com_content&task=view&id=36&Itemid=54

I libri:

Valentina Lenzi

CERAMICHE E PORCELLANE

DI CAPODIMONTE

Napoli e l’industria dai Borboni

alla dismissione

a cura di Vitale A.; De Majo S.

Ciao.

Un appello per la Birmania

Ashin Sopaka, monaco buddhista, il 15 novembre ha occupato con altri monaci un edificio del complesso sacro Mahamuni Paya a Mandalay in Birmania, per chiedere libertà di parola, la liberazione dei prigionieri politici e la cessazione dei conflitti politici ed etnici in birmania.
I monaci hanno inviato una lettera aperta al primo ministro birmano U Thein Sein.


Al centro Ashin Sopaka

Al Primo Ministro U Thein Sein,

Noi, i monaci e la gente della Birmania che desiderano la pace e la giustizia, chiediamo che i seguenti tre punti siano attuati immediatamente:

  1. Liberare tutti i prigionieri politici attualmente detenuti in Birmania, inclusi i nostri fratelli monaci buddisti che sono stati arrestati mentre lottavano per la pace, la libertà e la giustizia.
  2. Fermare la guerra civile con i nostri fratelli etnici, e cominciare a lavorare per la vera pace e riconciliazione con tutte le etnie e i gruppi di opposizione.
  3. Smettere la censura e permettere ai monaci e alle persone la libertà di parola che porterà un bene maggiore per tutti.


Distinti saluti,
I monaci buddisti e tutte le persone che stanno lavorando per la pace

Il vecchio cimitero ebraico di Praga

Un vecchio cimitero non è per me un luogo lugubre ma quieto e memore, magari un po’ misterioso….

E’ un luogo di incontro, di rimpianti, di riflessione e di preghiera e puo’ diventare, come in questo caso,

fonte di ricerca storica ed artistica. Uno degli spettacoli più suggestivi ed inquietanti di Praga sono le disordinate lapidi del cimitero ebraico. Sono la parte più evidente della storia dello Josefov, il ghetto  ebraico.

La storia del ghetto di Praga
In origine il quartiere ebraico si trovava nei pressi del Castello e solo nel XII secolo gli ebrei si trasferirono vicino a Piazza della Città Vecchia in Staré Mesto, iniziando l’espansione dello Josefov circondato da alte mura per separare gli abitanti dai cristiani all’esterno.
Migliaia di ebrei ammassati in uno spazio piccolo diedero ben presto origine ad una struttura urbana labirintica e brulicante di attività commerciali, sinagoghe grandi e piccole, caseggiatti sovraffolati e un unico spazio verde destinato a cimitero. Il ghetto non superò mai la superficie totale di 93.000 metri quadrati in cui si svolgeva la vita di migliaia di ebrei, che non potevano uscire dal ghetto senza indossare un cappelo giallo o un altro segno evidente della loro appartenenza religiosa. All’interno del ghetto gli incendi dolosi e accidentali erano così frequenti che gli ebrei divennero abili pompieri, chiamati a spegnere le fiamme anche per incendi nel resto della città.
 
Le discriminazioni sugli ebrei cominciarono a diminuire a partire dal 1592, grazie all’intervento del Rabbino Low che aveva una forte presa su Rodolfo II, soprattutto grazie alla sua conoscenza della Cabbala e dell’alchimia. Nel 1850 il ghetto entra a far parte delle città autonome che formano Praga con la dicitura Josefov, in onore dell’imperatore Giuseppe II che a partire del 1784 aveva attuato una politica di riduzione delle discriminazioni guadagnandosi l’onore di dare il nome al quartiere (Josefstadt) in tedesco.
Inizia un periodo di libertà più ampia che porta gli ebrei più ricchi e i borghesi ad andare fuori dal ghetto (Franz Kafka fu uno di questi).
A partire dal 1893 il ghetto subì una ristrutturazione profonda e  l’intero quartiere venne ricostruito.
Le labirintiche stradine, molte case barocche e gotiche e i cortili appartati del ghetto furono demoliti, si salvarono solo le sinagoghe, il cimitero e il municipio distruggendo buona parte degli edifici storici e sostituendoli con altri in stile Secese (Liberty).
Non a tutti piacque questo cambiamento. Anche se molti ebrei avevano già cominciato a trasferirsi in altre parti della città, come scrisse Kafka,
Oggi passeggiamo per le vecchie vie della città ricostruita ma i nostri passi sono incerti”…”Il nostro cuore non sa ancora nulla del risanamento effettuato”:..”Il vecchio quartiere ebraico dentro di noi è più reale della nuova città igienica intorno a noi”.
Poi arrivò il nazismo e nel 1945  tutti gli ebrei di Josefov furono deportati nel campo di concentramento di Terezín e da lì ad Auschwitz.
Alcuni dei tesori sottratti in quell’epoca alle comunità ebraiche della Boemia e della Moravia sono oggi esposti nelle sinagoghe.
Tra i personaggi illustri che vi sono vissuti spicca il rabbino Loew, che secondo la leggenda creò il Golem, mostro mitologico della tradizione ebraica.

. http://lacompagniadelforum.forumcommunity.net/?t=41934082 http://www.viaggioineuropa.it/rep_ceca/praga/praga-quartieri-josefov.html

Il Vecchio Cimitero, fu  fondato nel 1439  e rimase per oltre 300 anni l’unico luogo dove gli ebrei di Praga potevano seppellire i loro morti. E’probabilmente il più conosciuto cimitero ebraico del Mondo, persino i nazisti lo risparmiarono per chi sa quale motivo. Le dimensioni attuali sono all’incirca quelle medievali, perché il cimitero non poteva espandersi fuori dal perimetro esistente: così, nel tempo, si sopperì alla mancanza di spazio sovrapponendo le tombe (per gli ebrei è sacrilegio riesumare le tombe). In alcuni punti si formarono fino a nove strati di diverse sepolture: le lapidi  ( di arenaria o di marmo le piu’ importanti) venivano staccate dal suolo, veniva ammonticchiata della terra per una nuova sepoltura (per questo il cimitero è pieno di collinette e dislivelli) e veniva ricollocata la vecchia lapide con accanto la nuova. Senza quasi più una corrispondenza diretta con la persona della quale erano e sono testimonianza e memoria.
Mescolate tra di loro, piegate, rotte, di epoca medievale e di età moderna fin quasi alle soglie dell’ottocento. Oggi se ne contano circa 12.000 ma, data la conformazione “a strati”, si ritiene che vi siano sepolti oltre 100.000 ebrei. Sul procinto di crollare o già cadute, in un disordine commovente e angosciante allo stesso tempo, le pietre tombali se ne stanno assiepate, accavallate, sbilenche e storte, l’una contro l’altra, quasi tutte all’ombra, oscurate dalle fronde di alti sambuchi. Nessun ritratto, perché la religione ebraica lo vieta. Solo disegni simbolici per indicare la professione o le qualità del defunto: forbici per i sarti, pinzette per i medici, mani benedicenti per i rabbini e poi tanti animali per chi si chiamava Volpi, Orsi e così via.
Lo stile delle lapidi và dal gotico alle rotondità del barocco, passando per l’armonia dell’arte rinascimentale.
 
Le tombe più importanti sono indicate con dei cartelli.
Di tutta una serie di famosi personaggi, sepolti nel Vecchio Cimitero, citiamo almeno il primate della Citta Ebraica Mordecai Maisel (morto nel 1601), lo scienziato, storico, matematico e astronomo rinascimentale David Gans (morto nel 1613), il medico, astronomo e filosofo Josef Shelomo Delmedigo (morto nel 1655), il rabbino e collezionista di manoscritti e stampe ebraiche David Oppenheim (morto nel 1736) e tra tutte le tombe spicca quella del Rabbino Jehuda Löw, cabbalista, morto nel 1609, che secondo la leggenda iniziò a plasmare golem a cui dava la vita o la morte a suo piacimento
 
dove ancora oggi i visitatori depongono, come vuole la tradizione ebraica, un sasso o un bigliettino.

 La sepoltura più antica è quella del rabbino e poeta Avigdor Kara (1439), mentre la più recente quella di Moses Beck (1787).

  I libri: Jan Neruda  I racconti di Malà Strana

Giuseppe Marcenaro Cimiteri. Storie di rimpianti e di follie

Ciao.

Street art: Il mondo sotto – di Joe hill

Studiare la prospettiva per far sembrare in 3D un disegno piatto… una sfida che i più grandi artisti del passato hanno accettato, combattuto e vinto.

Molto interessata ad un articolo in prima pagina di Yahoo di ieri, che parlava del Guinness dei primati del dipinto 3D di strada piu’ grande, ho fatto qualche ricerca sulla Street Art (che ha circa 30 anni di vita) e tra le molte opere d’arte magnifiche (alcune sono museali), ne ho scelte alcune di Joe Hill, perchè è stato uno dei vincitori del Guinness, ma del quale purtroppo non ho trovato nessuna biografia.

Voglio,pero’, citare almeno altri due artisti: (personalmente adoro il genio sensibile di) Banksy, graffitaro e Edgar Muller.

Eccolo quà, proprio lui; ha fatto parte del team che ha vinto il Guinness. Per farlo, artisti di strada hanno trasformato parte della banchina Canary Wharf di Londra nel disegno 3D più lungo e più grande del mondo con una superficie di 1,160.4 metri quadrati, per una lunghezza di m. 106,5.

Arte di strada o arte urbana ( street art) è il nome dato dai mezzi di comunicazione di massa a quelle forme di arte che si manifestino in luoghi pubblici, spesso illegalmente, nelle tecniche più disparate: spray, sticker art, stencil, proiezioni video, sculture ecc. La sostanziale differenza tra la street art e i graffiti si riscontra nella tecnica non per forza vincolati all’uso di vernice spray e al soggetto, mentre il punto di incontro che spesso fa omologare le due discipline, rimane il luogo e alle volte alcune modalità di esecuzione, oltre all’origine mass-mediatica della terminologia (originariamente semplicemente Writing).

Ogni artista che pratica street art ha le proprie motivazioni personali, che possono essere molto varie. Alcuni la praticano come forma di sovversione, di critica o come tentativo di abolire la proprietà privata, rivendicando le strade e le piazze; altri più semplicemente vedono le città come un posto in cui poter esporre le proprie creazioni e in cui esprimere la propria arte. La street art offre infatti la possibilità di avere un pubblico vastissimo, spesso molto maggiore di quello di una tradizionale galleria d’arte.

Da Wikipedia: http://it.wikipedia.org/wiki/Street_art

www.wirefresh.com/worlds-largest-3d-street-art-revealed-in-london/

 

Il mondo sotto


 

 
http://joehill-art.com/page4.htm

 

 

Vi consiglio vivamente di visitare: http://www.streetartutopia.com/

Festival artisti di strada – Aosta, settembre 2012http://www.festivalartistidistrada.it/

http://green-buzz.net/art/masterful-3d-street-art-from-pioneering-genius-kurt-wenner/

http://artmuse67.blogspot.com/2010/09/3d-street-art.html

Ciao.

Thanksgiving day: 24 novembre

Tra qualche giorno in America ein Canada, si festeggerà il Giorno del Ringraziamento, (il 4° giovedi’ di novembre) probabilmente la celebrazione più tradizionale e sentita del paese. 

Anche se questa ricorrenza non ci riguarda direttamente, vorrei comunque chiarirmi le idee sul suo significato, la sua storia e le tradizioni legate ad essa.

Tutto cominciò il 6 settembre del 1620, quando centodue emigranti inglesi, che più tardi furono chiamati Padri Pellegrini (puritani), partirono dal porto di Plymouth a bordo della Mayflower, verso le Nuove Terre scoperte da Cristoforo Colombo nel 1492.

(La “mitica” Mayflower)

Non tutti sopravvissero ma quelli che riuscirono ad arrivare nell’America del Nord, dopo due mesi di traversata atlantica, sbarcarono l’11 novembre, stanchi e affamati, a Cape Cod.

Poi continuarono il loro viaggio e un mese dopo arrivarono sulla costa occidentale del futuro Massachusetts, dove fondarono la loro colonia, Plymouth, riconosciuta ufficialmente il 1º giugno 1621.

La leggenda vuole che al loro arrivo in quel territorio selvatico, abitato solo da poche centinaia di nativi, fossero accolti da un nugolo di tacchini.

Alcuni ospitali indiani che allevavano quei grandi gallinacei, offrirono loro un pranzo a base di tacchino con un ripieno di mais e altri frutti del luogo: probabilmente quel banchetto fu l’antesignano della tradizionale festa americana del Thankgiving Day, “il Giorno del Ringraziamento”, detto appunto anche “la festa del tacchino”, proclamata ufficialmente dal presidente Lincoln molto più tardi, nel 1863.In questa occasione, in tutto il paese si susseguono le manifestazioni dedicate all’ avvenimento: sopratutto si organizzano rappresentazioni, dedicate ai bambini e, spesso, interpretate dai bambini, in cui si può assistere alla rievocazione di quella che, secondo tradizione, fu la prima Festa del Ringraziamento, organizzata dai Padri Pellegrini per ringraziare il Signore del primo raccolto nella nuova terra.

William Bradford (19 marzo 1590-9 maggio 1657) governatore della Colonia fondata dai Padri Pellegrini a Plymouth nel Massachusetts, diede l’ordine di dedicare un giorno a Dio per ringraziarlo dell’abbondanza del raccolto ottenuto.

Nelle rappresentazioni si rievoca anche la partecipazione alla Festa dei saggi indiani Wampanoag che avevano assistito ed aiutato i puritani a superare il primo duro inverno sul nuovo continente ed avevano insegnato loro come coltivare le piante tipiche del nuovo mondo e li avevano riforniti dei prodotti della nuova terra. Nelle rievocazioni si vedono i buoni Padri Pellegrini invitare i saggi indiani Wampanoag e questi partecipare alla festa portando con se cacciagione e gli immancabili tacchini.

Le pietanze che vennero consumate diventarono di uso tradizionale nelle varie ricorrenze che si susseguirono nel tempo fino ai nostri giorni: tacchino, zucca, torte fatte con i cereali, frutta secca.

In queste festose rievocazioni non viene mai raccontato il destino di quegli amichevoli indiani che pure aiutarono i primi emigranti a sopravvivere, persino i libri di storia sono avari di parole circa gli avvenimenti successivi. 

(In poco più che 50 anni dal giorno dell’ approdo a Plymouth i puritani avevano distrutto anche la cultura che aveva abitato quelle terre per migliaia di anni.)

http://www.nonsolobush.it/Wampanoagframe.php

Alla Casa Bianca, qualche giorno prima della data ufficiale del Giorno del Ringraziamento, si celebra il National Thanksgiving Turkey Presentation, una festa tradizionale in cui il Presidente salva la vita a due tacchini non cucinandoli e uno dei due tacchini apre la parata sulla Main Street di Dinsneyland, poi entrambi verranno portati nel parco.

Negli Stati Uniti questa festa del Ringraziamento è molto amata e si preparano sontuosi pranzi, di cui la portata principale è naturalmente il tacchino (solo negli Stati Uniti vengono consumati durante il weekend festivo circa 40 milioni di tacchini), il cui ripieno viene preparato in svariati modi: con le ostriche, con il granturco o con una caratteristica specialità americana il riso selvatico (Wild rice).

Anche le patate dolci e la torta di zucca sono alimenti inseriti nei piatti tradizionali di quel giorno.

Per questa giornata speciale, all’incrocio tra la 77th Avenue e Central Park viene organizzata la Macy’s Thanksgiving Day Parade, una sfilata di spettacolari carri allegorici osservati ogni anno da circa due milioni di persone mentre strettamente legata al Giorno del Ringraziamento è la tradizione del “Black Friday”, cioè il venerdì successivo, in cui si apre ufficialmente la stagione dello shopping natalizio. In occasione di questa Festa, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama, accompagnato dalle figlie Sasha e Malia, ha da poco scherzato alla Casa Bianca, concedendo la grazia a due tacchini, Peace e Liberty, evitando loro così di finire in forno come vuole la tradizione del Thanksgiving.

Il tacchino

( Non avevo mai visto un tacchino fare la ruota, è veramente bello !)

Naturalmente la prima descrizione del tacchino la dobbiamo a Cristoforo Colombo, che lo incontrò durante il quarto viaggio, in Honduras. In una lettera ai Re Cattolici di Spagna del 7 luglio 1503 scriveva di aver veduto nei cortili degli indigeni «dei grandissimi uccelli con piume di lana».


A sua volta Hernan Cortés, il conquistador del Messico, nelle sue Cartas y relaciones inviate nel 1522 all’imperatore Carlo V, scriveva: «Gli indigeni allevano molte galline che sono come quelle nostre della terra ferma e che sono grosse come pavoni».

Chiamato scientificamente Meleagris gallopavo, viene anche chiamato “turco”, ansi Turkey in inglese, perché i turchi, che facevano scalo in Spagna, lo introdussero in Inghilterra.

E come lo cucinano gli americani?

Ripieno, appunto, ma con alcune varianti secondo i luoghi.

Ad esempio nelle cittadine del Sud con il mais o granturco, secondo la tradizione indigena.

Al nord invece con il wild rice, una tipica spezia americana.

Ma dappertutto, tipica del pranzo del Thanksgiving è anche la salsa di mirtillo palustre o cranberry, fatta con bacche fresche o congelate.

Ma anche le patate dolci, unite a zucchero, spezie e burro, lo yam, o anche la torta di zucca o la zucca caramellata.

http://www.marinacepedafuentes.com/2008/11/il-giorno-del-ringraziamento-con-il.html

Le ricette del tacchino ripieno, del mais e della torta  qui‘, qui’ e qui’:

 

http://www.donnamoderna.com/cucina/ricette/ricette-menu-giorno-ringraziamento

http://blog.leiweb.it/cucina/2009/11/25/torta-di-zucca-per-il-thanksgiving/

 

Il libro:

Il giorno del Ringraziamento (racconto) e altri racconti (The Thanksgiving Visitor) (1969)trad. Mariapaola Ricci Dettore e Bruno Tasso, Garzanti, Milano, 1969

La Repubblica, Roma, 1997;

L’Espresso-La Repubblica, Roma, 2008.

 

Ciao.

Discorso di S. Crispino

Shakespeare è uno dei due autori che in assoluto amo di piu’.

Le sue parole, i suoi monologhi, questo in particolare, mi emozionano moltissimo.

Dall’Enrico V di Kenneth Branagh, 1989

( da notare in primo piano, tra i soldati, il giovanissimo Christian Bale  ) 

Questo brano di Shakespeare si riferisce al discorso fatto da Re Enrico V ai suoi uomini prima della storica battaglia di Agincourt (25 Ottobre 1415) nella quale circa settemila Inglesi (seimila arcieri e mille fanti ) sconfissero l’esercito francese di Carlo VI, formato da circa 25 mila uomini, di cui mille a cavallo. La storia della battaglia è ancora oggi un caso da manuale, studiato nelle più prestigiose scuole militari di tutto il mondo.

Ciao.